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Condividere è bello (e anche utile): come e perché i ricercatori devono aumentare la loro propensione al “data sharing”

Su Plos One presentati i dati di uno studio coordinato dalla Sapienza nel campo della genetica umana

Un team di ricercatori, coordinato dall’antropologo Giovanni Destro Bisol del dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza, ha condotto  uno studio sulla condivisione dei dati nel campo della genetica umana.
L’analisi dettagliata del grado e delle modalità del data sharing è stata condotta su un campione di 508 lavori scientifici pubblicati tra il 2008 e il 2011, selezionati utilizzando il motore di ricerca Pubmed.  La ricerca ha messo in evidenza che una parte consistente dei dati, superiore a un quinto del totale,  non viene condivisa; questo valore scende di poco (dal 21.9% al 16.6%) considerando anche i risultati forniti dagli autori interpellati nel corso dello studio. Importante è anche l’osservazione che il livello di condivisione non supera l’80% nemmeno nelle riviste scientifiche più citate o che hanno adottato politiche editoriali per favorire una disponibilità integrale dei dati.

Lo studio stima che una percentuale inaspettatamente alta delle risorse, vicina al 30%, sia stata impiegata per produrre risultati che non sono stati poi integralmente messi a disposizione della comunità scientifica.  Vi sono quindi margini importanti su cui lavorare per ottimizzare  il rapporto tra nuove acquisizioni e risorse impiegate, in modo da far progredire più velocemente la ricerca in genetica umana e, con ogni probabilità, in altri settori della scienza

“La condivisione dei dati nella ricerca scientifica è un aspetto cruciale per il progresso della scienza: da questo può dipendere non solo un migliore sfruttamento delle risorse economiche e umane, ma anche la possibilità di testare nuove ipotesi, verificare eventuali  errori sperimentali, validare nuovi strumenti d’analisi e software e pianificare al meglio studi  futuri” – sottolinea Giovanni Destro Bisol – “Una prima modalità d’intervento potrebbe essere subordinare l’accettazione finale da parte delle riviste scientifiche al deposito dei risultati in database online che assicurino anche  un controllo di qualità”.

Lo studio identifica altri due punti importanti. In primo luogo, è necessario adattare le strategie ai problemi specifici di ogni  settore di ricerca.  La minore propensione alla condivisione dei dati osservata in genetica medica rispetto a quanto accade in genetica forense o in genetica evoluzionistica umana, suggerisce quanto sia importante mitigare il conflitto d’interesse con le possibilità  di sfruttamento commerciale e l’alto  livello di competitività del settore. Infine, è necessario diffondere sia tra i ricercatori che nel pubblico la consapevolezza che impiegare una parte importante delle risorse per produrre dati che non vengono poi effettivamente condivisi significa ritardare il progresso delle nostre conoscenze scientifiche.

Lo studio, realizzato in collaborazione con l’Università di Cagliari e l’Istituto Italiano di Antropologia, si è concentrato sugli studi di genetica umana. Questo settore rappresenta un caso di studio privilegiato grazie alla natura codificata dell’informazione genetica, alla riproducibilità dei risultati e all’ampia disponibilità di portali e database online per l’archiviazione e la disseminazione dei dati. L’effettiva disponibilità dei dati raccolti è stata verificata sia attraverso l’ispezione dei contenuti delle pubblicazioni che mediante richieste specifiche agli autori dei lavori. Lo studio è pubblicato sul numero del 5 giugno dalla rivista Plos One (Mine, yours, ours? sharing data on human genetic variation). Coerentemente con una filosofia “open data”, sono stati messi a disposizione non solo tutti i dati raccolti per verifiche e approfondimenti, ma anche gli strumenti per replicare facilmente lo studio in altri settori di ricerca.

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