• Novembre 22, 2024 12:02 am

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Al dipartimento Ciamician dell’Università di Bologna un team di ricercatori ha testato dei nuovi dispositivi in grado di penetrare le membrane cellulari.
In laboratorio sono state create delle siringhe nanometriche: tubicini impalpabili di carbonio con una lunghezza di alcuni millimetri e un diametro più piccolo di un nanometro in grado di iniettare in modo molto preciso farmaci e geni in cellule malate.
Secondo i ricercatori il modo più semplice di penetrare una membrana cellulare con queste nuove siringhe molecolari è con un’inclinazione radente rispetto la superficie, raggiungendo così l’equilibrio energetico più favorevole.
I risultati sono stati ottenuti mediante delle simulazioni teoriche, con modelli matematici, questo perché come ha spiegato Siegfried Hofinger dell’Unibo “Per ora nessuno è in grado di verificare sperimentalmente questi fenomeni, perché maneggiare questi nanotubi è altamente difficile”.Insieme al gruppo dell’Unibo coordinato da Francesco Zerbetto, alla ricerca hanno partecipato anche la Universidade do Porto in Portogallo e la Michigan Technological University (USA): questi, hanno svolto due simulazioni indipendenti con approcci teorici molto diversi. La prima si è concentrata sul concetto di “Environmental Free Energy” e sull’equilibrio energetico del sistema; la seconda simulazione, meno accurata della prima, è riuscita però a descrivere al meglio l’evoluzione dinamica e temporale del comportamento di grandi molecole in soluzione. I ricercatori si sono serviti di tubicini molto corti in modo che fossero inglobati interamente dalla parete delle cellule: i tubicini più lunghi, dopo essere entrati nella membrana, iniziano a disporsi parallelamente la superficie.
Inoltre, è stato dimostrato che l’utilizzo di fasci di tubicini uniti assieme producono minor danni cellulari.
Entrambe le simulazioni hanno ottenuto il medesimo risultato: nell’utilizzo di dispositivi così microscopici è da preferire l’introduzione radente alla membrana cellulare.
Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Biomaterials.

Fonte: molecularlab

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