• Novembre 22, 2024 2:25 pm

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Uno a zero, potrebbe concludersi così un ipotetico match psicologi-psichiatri, almeno per quel che concerne il trattamento delle sindromi depressive. Già nel 2007 era stato pubblicato uno studio ufficiale sugli psicofarmaci in base al quale le loro potenzialità non andrebbero molto al di la dell’effetto placebo, nasceva allora spontaneo chiedersi perché assumere farmaci che, come tutti i prodotti di sintesi, si portano dietro un’infinità di effetti collaterali se è possibile ottenere gli stessi risultati con sostanze decisamente più innocue. In realtà, ad una più attenta lettura, dal rapporto emergeva che l’effetto curativo degli antidepressivi è direttamente proporzionale alla gravità di base della patologia; tanto più essa è ad uno stadio iniziale, tanto minore sarà l’efficacia dei farmaci, il che, se da una parte riconsegna autorevolezza allo psicofarmaco, dall’altra suggerisce inevitabilmente l’urgenza di una seria riflessione sulla disinvoltura con cui simili medicinali vengono prescritti anche per affrontare situazioni di lievissima entità.

Oggi la ricerca è andata ulteriormente avanti, dimostrando che un approccio scientifico ai disagi esistenziali esiste; non è fatto di pillole, bensì di parole, di ascolto, di riflessione, è la strada della psicoterapia. Se, infatti, per decenni il ruolo dell’intervento psicoterapeutico è stato relegato dagli esperti di psichiatria nella sfera del “sono solo chiacchiere, male non fanno ma..”, le più recenti indagini hanno permesso di stabilire con certezza che la psicoterapia agisce sul cervello e produce al suo interno le stesse modifiche che sono apportate dai farmaci. Non è, quindi, un cambiamento di tipo puramente comportamentale quello che può essere promosso dal lavoro psicoterapeutico.

Una risonanza magnetica funzionale al cervello dimostra, infatti, che la terapia della psiche agisce sui circuiti neurobiologici. Fra gli studi portati avanti, quelli condotti su soggetti fobici. Di fronte ad un elemento in grado di innescare in loro la paura, si attiva l’area pre frontale laterale destra; effettuando nuovamente una risonanza sugli stessi soggetti a distanza di mesi, dopo che abbiano seguito un percorso di psicoterapia, si registra una vera e propria variazione della struttura neuronale.

Avere la possibilità di intervenire per controllare le emozioni legate alla sofferenza, rappresenta un’importante traguardo in quanto spesso lo stress causato dal dolore si può trasformare in un disturbo mentale. Questo significa che anche tante patologie che talvolta banalmente si attribuiscono a meccanismi di autosuggestione, dipendono, invece, dall’attivazione o inibizione di specifici circuiti neuronali. La psicoterapia può agire su questo fronte.

 Fonti:   Il Serpente di Galeno

                Innernet

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